IL VUOTO VIVO DEL CRISTO MARMOREO

IL VUOTO VIVO DEL CRISTO MARMOREO
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 A volte per credere all’assoluto devi preparati a percepire e a ricevere delle emozioni indescrivibili che tolgono il fiato. Questo accade quando varchi il suolo della Cappella di Sansevero e ti imbatti nel freddo candido dei simulacri e dei volti dipinti, che circondano e avvolgono il “suo corpo” in una sensazione di Grazia, su quel letto vi è un abbandonarsi all’anelito della resurrezione e proprio allora che avverti che i tuoi occhi e i tuoi polmoni sono già stati annullati dal fervore marmoreo che come una forza incontrollabile ti lascia cadere nel “vuoto”.

di Anna Ferrentino    

Il Cristo velato è una delle opere di rara magnificenza. Dio si è materializzato 1753 anni dopo nella mano di Giuseppe Sanmartino, che con il suo scalpello da forma e delinea la purezza di “suo figlio” come identità quasi a punirci “dell’assordante vuoto dell’esistenza umana”.

L’opera commissionata al giovane artista napoletano dal Principe Raimondo di Sangro, doveva racchiudere in un solo blocco di marmo la morte di “Nostro Signore Gesù Cristo”, ricoperto da un velo trasparente”.

La straordinaria mano di Sanmartino con la sua articolata messa in scena della morte di Cristo, attraverso il simbolismo, definito dai dettagli posti sul letto del Cristo, porta inevitabilmente ad osservare l’osabile con questa continua esasperata aspirazione al vuoto: vicino al suo piede destro adagia la corona che con le sue spine pesanti affondano nel letto di marmo quasi a indicare il peso della coscienza umana; la morsa della tenaglia macchiata e sporca di sangue  che è servita ad estirpare i chiodi amorfi e pallidi danno quasi la sensazione di un “senso di colpa” per quel corpo sospeso e ripudiato sui due travi di legno sovrapposti.

Strumenti dell’artista che manifestano l’assoluta decadenza e di una sofferenza velata ma definita nei dettagli penetranti, quasi a sentirne la pulsazione reale del trafitto.

Lo sguardo dello spettatore percorre il “sinuoso e nevrotico movimento delle pieghe calcaree e cristallizzate” che attrae l’esile peso del vacuo. Questo richiamo continuo dell’artista all’abisso del vuoto che risorge in una delicatezza infinitesimale di purezza e leggerezza, fa di lui un drammatico rappresentante della vita umana. La mano bucata, adagiata e tesa lungo il corpo in prospettiva di un volto risoluto fa sì che “Lui è vivo, è caldo, è risorto”, mentre l’altra mano si trascina verso le costole in un armonia pacata. Questa gravità paradossale che si nota nella cadenza attillata del velo della patina marmorea confluisce verso il ventre come fonte dell’origine della ricerca di una nuova umanità.

Il “velo” si insinua nei meandri delle carni come a dare vita ai dettagli arteriosi e venosi che rendono quasi toccabile la sua pulsazione; un’armonia eterea tale da spingerti a sederti al suo fianco e deporre il capo sul suo petto per raccogliere il suo calore in un abbraccio e sprofondare nell’elevazione divina.

LA CAPPELLA SANSEVERO IL TEMPIO DEL CRISTO VELATO

Il Cristo Velato riposa nella straordinaria Cappella Sansevero, nel cuore della città Partenopea, dove suoni, colori, odori aleggiano e circondano il suo tempio. La Cappella è un vero scrigno di sculture, di marmi e di ornamenti che lasciano inebriati. L’attuale assetto è stato voluto dal Principe Raimondo di Sangro, settimo Principe di Sansevero, nel 1740 circa.

L’architettonica della struttura disangriana presenta un’unica navata longitudinale con al centro il Cristo, deposto di fronte all’altare maggiore, e tutt’intorno, sulle pareti laterali, quattro archi a tutto sesto che custodiscono monumenti sepolcrali degli antenati illustri dei di Sangro.

A separare gli archi, insieme ai pilastri, sono le straordinarie sculture come Disinganno e Pudicizia, a testimoniare le allegorie delle Virtù; la volta della cappella è magistralmente decorata da un affresco con la Gloria del Paradiso, con squarci repentini, apparizioni di angeli e stratagemmi architettonici illusionistici.

Allo stesso tempo calpestando il pavimento di cotto, circoscritto da mattonelle smaltate di giallo e azzurro, si ha un richiamo ai colori dello stemma del casato di Sangro, che emana una sensazione di violazione sacra; inoltre, prima della fine del diciannovesimo secolo la cappella vantava di un pavimento con decorazione sibillina di un labirinto, di cui una porzione tuttora visibile in alcuni punti dell’edificio, come in prossimità della tomba di Raimondo di Sangro. Il Principe noto studioso con una mente eccellente, spaziò nelle varie discipline come filosofia, pirotecnica e architettura militare con un occhio di riguardo anche alla medicina che gli consentirono di poter esplorare, inventare e sperimentare nelle varie attività.

L’altra porzione di pavimento conduce alla Cavea sotterranea, che oggi ospita le Macchine anatomiche, che il Principe costudiva in altre aree del suo palazzo “Appartamento della Fenice”. Queste macchine sono frutto di studi anatomici condotti dal Medico palermitano Giuseppe Salerno e rappresentano gli scheletri in posizione eretta di un uomo e di una donna e del loro sistema arterovenoso.   

Ancora oggi, dopo centinaia di anni si dibatte sui procedimenti e i materiali utilizzati per ottenere uno stato eccezionale di conservazione dell’apparato circolatorio. Si allude che la sostanza inoculata abbia procurato la “metallizzazione” del sistema arterovenoso, in realtà il sistema circolatorio fu frutto di una ricostruzione effettuata con diversi materiali, tra cui la cera d’api e alcuni coloranti, una conoscenza anatomica incredibilmente avanzata per l’epoca.

Diverse possono essere le interpretazioni dell’essenza del profilo alchemico del Principe Raimondo di Sangro che appare come un tracciato da percorre attraverso il simbolismo del “volto del religioso” alla contrapposizione dei “corpi scientifici”, quasi a creare una simbiosi tra sacro e profano ed elevare il tutto in una idea unica di immortalità.

 

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ANNA FERRENTINO

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