ITALIANI BRAVA GENTE? CON VISTOSE ECCEZIONI, PURTROPPO.

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APPUNTI E SPUNTI DA PONTE

di Domenico Ocone

Tra i tanti episodi esemplari che vedono protagonisti la sensibilità e l’umanità degli italiani, quanto essi stanno facendo per aiutare la Romagna e i suoi abitanti- i volontari accorsi da ogni dove -ne è una più che valida dimostrazione. Lunedi è successo qualcosa che ha lasciato come minimo a bocca aperta chi ne sia venuto a conoscenza in tempo reale. Il risultato di conseguenza è stato un contraccolpo notevole o quanto meno una nota negativa non di poco conto che si contrappone in modo stridente al palmares della popolazione dello Stivale, isole comprese. Il fatto. È entrato nel vivo il processo per il crollo, avvenuto nell’agosto del 2018, del ponte di Genova, ormai conosciuto come Ponte Morandi, quando tra poco più di due mesi ricorrerà il quinto anniversario di quella sciagura. Lunedì in tribunale si è potuto assistere a un colpo di scena che ha fatto e continua a far tremare le vene ai polsi a molti “nomi che contano”. Solo per memoria, quindi senza sterili polemiche e piagnistei, in quella occasione morirono quarantatré persone. È accaduto così che con il passare delle ore successive al crollo, si squarciasse la pesante coltre che copriva il modo di gestire la viabilità da parte della società Autostrade e delle altre matrioske della famiglia Benetton che in qualche modo erano coinvolte nella gestione della rete viaria facente capo a Autostrade spa. Si appurò che l’ingegner Morandi aveva progettato ponti dello stesso genere, negli anni realizzati su tutto il territorio del Paese. Ciò avveniva negli anni ’60 e, quasi subito dopo aver progettato l’ultimo della serie, sembra proprio che lo stesso ingegnere si sia reso conto che le sue opere non erano sicure. Conseguenza del suo allarme fu che, anche se in mezzo a contenitori del tipo in uso per le uova- si sa che gli stessi sono fonoassorbenti -arrivasse dove sarebbe dovuto arrivare. Lunedì nel Tribunale di Genova è accaduto un episodio che ricorda molto da vicino le rivelazioni conclamate, poche purtroppo, dei pentiti di mafia, di camorra e di ogni altro sodalizio criminale, avvenuti in circostanze che dessero loro il massimo risalto. Gianni Mion, all’ epoca dei fatti AD della holding Edizione, riconducibile alla famiglia Benetton, proprietaria della Società Autostrade, è comparso in aula in qualità di testimone. Ha detto di aver riferito all’epoca tutto quanto sapeva sulla genesi di quel ponte alla proprietà. Per voler completare la sua informativa, ha riportato anche la reazione che scaturì dalle persone coinvolte in qualche modo con la problematica di quel ponte, quando riferì loro quale fosse effettivamente lo stato in cui si trovava. Quel manufatto, controllato da personale riconducibile alla stessa società Autostrade, era stato dichiarato pericolante, proprio così, una decina di anni prima del crollo. Mion, dopo aver riferito quanto innanzi citato in consiglio di amministrazione, propose di affidare il monitoraggio della struttura a un ente terzo. Gli fu risposto dall’ AD di quella concessionaria che tanto non era necessario, in quanto i controlli sarebbero stati eseguiti e sottoscritti dalla stessa Autostrade spa. Dunque, ancora una volta, a controllare e a essere controllato sarebbe stato un unico soggetto: altro che Giano Bifronte o Victor Victoria, personaggi dell’omonimo film!  Mion era stato a lungo l’uomo di fiducia dei Benetton e conosce come pochi altri in profondità i fatti di quella famiglia. Sulla soglia degli 80 anni deve avere avvertito come insopportabile il peso di quel tragico passaggio e ha vuotato il sacco. Così, avvicinandosi la ricorrenza del quinto anniversario di quella tragedia, l’indagine risulta stravolta, vicina a dover ripartire daccapo. Quanta differenza con il modo di agire degli agricoltori romagnoli i quali, pur di collaborare a mettere in salvo dalle acque e dal fango Ravenna, hanno consentito che le idrovore inondassero i loro campi! Hanno rinunciato così alla raccolta di frutta e altro, principale fonte del loro reddito, dell’annata corrente. Il problema della cosiddetta “Questione Morale”, evidenziata da Giorgio Berlinguer alla fine degli anni ’60, risulta essere cresciuta smodatamente, mostrando forme e dimensioni non comuni per quanto riguarda cinismo e amoralità, sue principali caratteristiche. Il più delle volte arriva a sfociare in una attività criminale vera e propria. Vengono così a galla episodi di inefficienza della Mano Pubblica, che sembrano dare ancora una conferma a quanto asserito già negli anni ’60 dal Professor Roversi Monaco. Affermò quel docente un concetto che può essere riassunto come segue. L’ inefficienza pubblica, sommata a quella privata, da per risultato 3 al posto di 2. Il Governo intanto sta andando avanti come può perché tutti gli italiani possano mangiare due pasti al giorno. A ciò si aggiunga che non deve mancare almeno il minimo indispensabile perché gli stessi possano definirsi ancora componenti di una società civile. Sempreché non si verifichi in itinere una crisi di nervi, quella che finora con zelo proprio la “brava gente” ha contribuito a far si che non prendesse piede.

 

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DOMENICO OCONE

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