MEDIATIZZAZIONE POLITICA

LA RIFORMA RAI DEL 1975
di Anna Ferrentino (AF-F)
Con il termine “mediatizzazione” si intende quel processo relativo all’influenza strutturale operata dai mezzi di comunicazione di massa sul sistema politico. Gli studiosi di comunicazione politica fanno spesso riferimento al concetto di “spazio pubblico mediatizzato”, uno spazio nel quale i media fungono da filtro nell’ambito del rapporto tra politica e opinione pubblica. Altri autori preferiscono invece parlare di “mediasfera” per denotare l’ambiente dei media che contraddistingue la nostra epoca.
La connessione tra i media e la politica in Italia è stata già molto intensa durante la Prima Repubblica. I processi di mediatizzazione hanno subito una notevole accelerazione con la Riforma Rai del 1975 (legge 14 aprile 1975 n. 103) e con la successiva affermazione della tv commerciale di Silvio Berlusconi negli anni ‘80.
La Riforma Rai del 1975 aveva il compito di rendere la tv un terreno più democratico, dove tutte le posizioni e le idee, comprese quelle delle minoranze, potessero essere espresse e veicolate al pubblico. La riforma prevedeva, nei suoi punti più rilevanti, nuove logiche legate alla pluralità d’espressione:
1) Il Cda Rai, a partire da questo momento, viene eletto dal Parlamento e non dal Governo, più precisamente: 10 membri eletti dalla neonata “Commissione Parlamentare per l’indirizzo e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi”, composta essa stessa da 40 membri eletti in egual numero da Camera dei Deputati e Senato, e altri 6 membri eletti dall’assemblea dei soci, ovvero l’IRI e la SIAE.
2) Si abbandona la linea giornalistica unica avuta fino a quel momento per far spazio a due “telegiornali distinti”, uno per ogni rete esistente.
3) Si istituisce la terza rete RAI.
Negli anni ’80, grazie alla sentenza della Corte Costituzionale del 28 luglio 1976 n. 202, le reti televisive private diventano legali. Ha così inizio l’era delle “televisioni commerciali”, strumento che darà vita a un nuovo sistema mediale politico. La televisione diventerà per Silvio Berlusconi il principale mezzo di propaganda politica quando, nel 1993, deciderà di “scendere in campo” nell’agone politico in prima persona.
Il caso dei media in Italia risulta unico proprio per queste influenze politiche a cui i media sono sempre stati soggetti, senza avere mai effettivamente avuto una autonoma libertà di espressione. In Italia, infatti, si può registrare una vera e propria dipendenza dalla politica da parte dei mezzi di comunicazione.
Con l’affermarsi della tv commerciale, si delineano due nuovi modelli di informazione, ossia l’infotainment e il politainment.
Per infotainment si intende una informazione meno approfondita, maggiormente votata all’intrattenimento. Programmi televisivi di questo tipo si interessano spesso a personaggi ed eventi politici, trattandoli non di rado con ironia e in modo poco “politically correct”, come ad esempio fanno “Striscia la Notizia” e altri programmi satirici, oppure enfatizzando il lato più popolare e sensazionalista delle notizie. Per politainment, invece, si intende l’unione di politica e intrattenimento, come accade nel caso della partecipazione di personaggi politici a programmi televisivi che non si occupano di politica.
Se l’infotainment è un processo d’informazione affermatosi principalmente nella Seconda Repubblica, esempi di politainment possono essere rinvenuti già nella Prima Repubblica. A tal proposito, si pensi alla candidatura al Parlamento della pornostar Ilona Staller, schieratasi con il Partito Radicale di Marco Pannella. La campagna elettorale della pornoattrice fu seguita moltissimo dai media, che ovviamente ne evidenziarono anche gli aspetti surreali e comici. Ilona Staller fu sicuramente aiutata da questa altissima attenzione mediatica, al punto da essere eletta con un numero di voti molto alto, risultando seconda solo al leader del partito, Marco Pannella.
Con il passare degli anni questo processo, che riguarda non solo la politica, ma la società nel suo complesso, si è notevolmente ampliato.
Una comunicazione politica che diventa sempre più spettacolarizzata e personalizzata, ma allo stesso tempo via via più evanescente sul piano delle proposte concrete, comporta forme di delegittimazione della politica tradizionale, nonché dei suoi meccanismi di mediazione sociale.
Una democrazia media-centrica, in sostanza, nella quale i mezzi di comunicazione di massa rappresentano “la cornice, l’oggetto, l’arena (e in qualche caso persino il soggetto) del dibattito e dello scontro politico”.
In particolare, come si notava, è la televisione a costituire il polo principale attraverso cui la comunicazione politica viene veicolata, al punto che diversi studiosi hanno proposto la definizione di “videocrazia”.
Secondo Darren Lilleker, i tratti distintivi più rilevanti della videocrazia sono rappresentati dall’uso molto accentuato del mezzo televisivo (talk show, ma anche programmi di intrattenimento) per rendere il candidato quanto più visibile e riconoscibile presso il maggior numero di elettori possibile; dalla prevalenza della sua immagine a discapito dei contenuti e delle idee politiche, da una scelta dei candidati che tiene conto del loro grado di telegenia più che delle competenze specifiche; da un notevole investimento di risorse nell’ambito della pubblicità, del marketing politico, della copertura mediatica, fenomeno che rende fondamentali le figure dei consulenti di immagine e degli spin doctor.
In sostanza, secondo l’autore, il politico si rivolge al proprio pubblico provando a giocare sugli aspetti emotivi della comunicazione, a sedurre lo spettatore, proprio come farebbe un attore di fronte alla macchina da presa. Di conseguenza, l’ombra proiettata dalla figura del leader politico oscura quella del partito politico di appartenenza, e la contesa politica diventa una questione di lotta tra singoli individui (i leader), non più una competizione tra soggetti politici collettivi (i partiti).
Foto Alain Guariglia