LA STORIA DI MARCELLA: MORTIFICATA E OFFESA A CAUSA DELLA SUA DISABILITÀ DAL PERSONALE DEL REPARTO DI OSTETRICIA E GINECOLOGIA DEL CARDARELLI DI NAPOLI

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“UN INFERNO SENZA PARAGONI”
di Anna Adamo
Poco tempo fa un bambino è morto all’ ospedale Pertini di Roma.
E no, la sua non è una morte come le altre.
È una morte avvenuta nel modo più impensabile che esista, ossia mentre la madre lo stava allattando, perché la stanchezza ha preso il sopravvento su tutto e si è addormentata.
Disattenzione o mancanza di senso di responsabilità della madre, si potrebbe pensare.
Invece no, quella madre non ha alcuna colpa.
La colpa, ce l’ha un personale medico e infermieristico che quella donna l’ ha lasciata sola, che ha ignorato le sue richieste d’ aiuto.
Ebbene si, che piaccia o no è questa la verità.
La colpa è di chi avrebbe dovuto dare a quella madre gli aiuti necessari e non lo ha fatto.
E il problema è che quella donna non è la prima e neanche l’ ultima vittima di una sanità che non funziona come dovrebbe.
Ne costituisce l’esempio Marcella, una donna con disabilità che tre anni fa ha partorito presso l’ Ospedale Cardarelli di Napoli ed è stata protagonista di un inferno senza paragoni.
“Sono rimasta sconvolta – racconta ancora scossa – dalla poca competenza e dal menefreghismo del personale infermieristico.
Ero assistita da mia madre, mia suocera e mio marito che di notte avevano bisogno di riposare, perché altrimenti non ce l’ avrebbero fatta, presi dalla stanchezza, ad assistermi il giorno successivo.
Una sera chiesi all’ infermiere di aiutarmi ad utilizzare la pala per poter andare in bagno. Con fare scocciato mi rispose che avesse mal di schiena e non avrebbe potuto aiutarmi, quindi avrei dovuto sollevarmi da sola dal letto per aiutarli a mettermi la padella.
Il problema, però, è che io sono affetta da una grave forma di artrite reumatoide la quale blocca le mie articolazioni, quindi non avrei mai potuto fare una cosa del genere.
Quando feci loro presente la situazione mi dissero che avrei dovuto mettere il pannolone, perché non avrebbero potuto aiutarmi.
Mi arrabbiai tantissimo e il giorno seguente il primario venne a scusarsi dicendo che, tra l’altro, quello fosse un reparto dedicato alle persone con disabilità.
Purtroppo, però, non furono altro che delle scuse di facciata, perché, anche nella terapia intensiva dove mio figlio fu portato a causa di un problema di respirazione avuto durante il parto, sono stata mortificata. Mi fecero credere che siccome sono una persona con disabilità non sapessi neanche tenere mio figlio in braccio e che solo per i primi giorni sarei potuta entrare in sala in sedia a rotelle, ma il resto dei giorni sarei dovuta entrare a piedi. Peccato che io sulla sedia a rotelle debba trascorrervi gran parte della giornata, perché non riesco a stare in piedi e camminare normalmente.”
Quella di Marcella è una testimonianza che mette i brividi e lascia senza parole.
Non ci si può non chiedere come sia possibile che ad una persona sia stato negato il diritto di essere assistita e di ricevere le cure di cui necessita.
“Ho – aggiunge – anche la lettera di reclamo che il primario del reparto di ostetricia e ginecologia mi invitò a scrivere cui, secondo lui sarebbe dovuta seguire una causa nel corso della quale sarei dovuta essere interpellata per testimoniare il disagio di cui sono stata protagonista. Ovviamente, nulla di tutto questo è avvenuto e la lettera è stata scritta inutilmente.”
Marcella è una donna ferita.
Nulla potrà mai farle dimenticare il dolore provato in quei giorni.
Un dolore di cui nessuna donna che sceglie di diventare madre dovrebbe essere protagonista.
“Credo – conclude – che negli ospedali bisognerebbe avere rispetto della persona, della madre, del paziente in generale che viene per essere curato.
Non bisogna denigrarlo e offenderlo.
Se gli addetti ai lavori non sono empatici e non sono in grado di mettersi nei panni della persona che soffre è meglio che cambiano lavoro.”
Le parole di Marcella sono forti e chiare.
Ma, soprattutto, sono parole di una donna consapevole, che vuole essere vicina a mamme come quella del Pertini di Roma e a tante altre donne, affinché nessuna di esse subisca quello che ha subìto lei, rendendo il parto, che dovrebbe essere uno dei momenti più belli della vita di una donna, un indimenticabile inferno.
E no, la sua non è una morte come le altre.
È una morte avvenuta nel modo più impensabile che esista, ossia mentre la madre lo stava allattando, perché la stanchezza ha preso il sopravvento su tutto e si è addormentata.
Disattenzione o mancanza di senso di responsabilità della madre, si potrebbe pensare.
Invece no, quella madre non ha alcuna colpa.
La colpa, ce l’ha un personale medico e infermieristico che quella donna l’ ha lasciata sola, che ha ignorato le sue richieste d’ aiuto.
Ebbene si, che piaccia o no è questa la verità.
La colpa è di chi avrebbe dovuto dare a quella madre gli aiuti necessari e non lo ha fatto.
E il problema è che quella donna non è la prima e neanche l’ ultima vittima di una sanità che non funziona come dovrebbe.
Ne costituisce l’esempio Marcella, una donna con disabilità che tre anni fa ha partorito presso l’ Ospedale Cardarelli di Napoli ed è stata protagonista di un inferno senza paragoni.
“Sono rimasta sconvolta – racconta ancora scossa – dalla poca competenza e dal menefreghismo del personale infermieristico.
Ero assistita da mia madre, mia suocera e mio marito che di notte avevano bisogno di riposare, perché altrimenti non ce l’ avrebbero fatta, presi dalla stanchezza, ad assistermi il giorno successivo.
Una sera chiesi all’ infermiere di aiutarmi ad utilizzare la pala per poter andare in bagno. Con fare scocciato mi rispose che avesse mal di schiena e non avrebbe potuto aiutarmi, quindi avrei dovuto sollevarmi da sola dal letto per aiutarli a mettermi la padella.
Il problema, però, è che io sono affetta da una grave forma di artrite reumatoide la quale blocca le mie articolazioni, quindi non avrei mai potuto fare una cosa del genere.
Quando feci loro presente la situazione mi dissero che avrei dovuto mettere il pannolone, perché non avrebbero potuto aiutarmi.
Mi arrabbiai tantissimo e il giorno seguente il primario venne a scusarsi dicendo che, tra l’altro, quello fosse un reparto dedicato alle persone con disabilità.
Purtroppo, però, non furono altro che delle scuse di facciata, perché, anche nella terapia intensiva dove mio figlio fu portato a causa di un problema di respirazione avuto durante il parto, sono stata mortificata. Mi fecero credere che siccome sono una persona con disabilità non sapessi neanche tenere mio figlio in braccio e che solo per i primi giorni sarei potuta entrare in sala in sedia a rotelle, ma il resto dei giorni sarei dovuta entrare a piedi. Peccato che io sulla sedia a rotelle debba trascorrervi gran parte della giornata, perché non riesco a stare in piedi e camminare normalmente.”
Quella di Marcella è una testimonianza che mette i brividi e lascia senza parole.
Non ci si può non chiedere come sia possibile che ad una persona sia stato negato il diritto di essere assistita e di ricevere le cure di cui necessita.
“Ho – aggiunge – anche la lettera di reclamo che il primario del reparto di ostetricia e ginecologia mi invitò a scrivere cui, secondo lui sarebbe dovuta seguire una causa nel corso della quale sarei dovuta essere interpellata per testimoniare il disagio di cui sono stata protagonista. Ovviamente, nulla di tutto questo è avvenuto e la lettera è stata scritta inutilmente.”
Marcella è una donna ferita.
Nulla potrà mai farle dimenticare il dolore provato in quei giorni.
Un dolore di cui nessuna donna che sceglie di diventare madre dovrebbe essere protagonista.
“Credo – conclude – che negli ospedali bisognerebbe avere rispetto della persona, della madre, del paziente in generale che viene per essere curato.
Non bisogna denigrarlo e offenderlo.
Se gli addetti ai lavori non sono empatici e non sono in grado di mettersi nei panni della persona che soffre è meglio che cambiano lavoro.”
Le parole di Marcella sono forti e chiare.
Ma, soprattutto, sono parole di una donna consapevole, che vuole essere vicina a mamme come quella del Pertini di Roma e a tante altre donne, affinché nessuna di esse subisca quello che ha subìto lei, rendendo il parto, che dovrebbe essere uno dei momenti più belli della vita di una donna, un indimenticabile inferno.