CONTRAFFAZIONE “MADE IN ITALY AGRO-ALIMENTARE”

IL PATRIMONIO AGROALIMENTARE COSTITUISCE UNO DEI PUNTI DI FORZA DELL’ECONOMIA DELL’ITALIA; I PRODOTTI RAGGIUNGONO I PIÙ SVARIATI MERCATI INTERNAZIONALI REGISTRANDO UN BUON SUCCESSO COMMERCIALE. TUTTAVIA, PROPRIO IN VIRTÙ DEL LORO SUCCESSO, LE PRODUZIONI TIPICHE ITALIANE RISULTANO OGGETTO DI CONTRAFFAZIONE ED IMITAZIONE NEI MERCATI INTERNAZIONALI. QUESTO FENOMENO NECESSITA DI UNA TUTELA LEGISLATIVA DI CONTRASTO, CON DELLE STRATEGIE CONSONE A PROTEGGERE LE IMPRESE E DARE UN ULTERIORE RAFFORZAMENTO ALL’ESCLUSIVITÀ DELLE NOSTRE RISORSE
di Anna Ferrentino (AF-F)
In ogni angolo del mondo si sogna il cibo italiano e si desidera “vivere l’Italia” come esempio di cultura e di benessere. L’agroalimentare realizzato in Italia rappresenta un’eccellenza nel mercato mondiale. Da qui l’esigenza di tutelare il “Made in Italy” dalla contraffazione e dalle conseguenze nefaste che il falso genera per le imprese, i consumatori e la collettività in genere.
Recentemente e per il loro diffondersi, quasi dilagare, in ambito anche di globalizzazione alimentare, si è iniziato a parlare di “falsi” alimentari. In proposito si parla anche di “agropirateria” e, solo come esempio, centinaia sono i casi d’imitazione del piatto principe dell’alimentazione italiana: la pasta. Di pari passo alla mondializzazione del consumo di pasta, secondo uno stile italiano, è andata anche la sua contraffazione internazionale, estesa a tutti i continenti, con l’utilizzo di denominazioni che, con l’uso improprio di parole, colori, località, immagini che richiamano il nostro Paese, non ha nulla a che fare con la realtà produttiva nazionale. Per scovare questi falsi non occorre recarsi all’estero, ma è sufficiente una breve navigata in Internet. In Australia, ad esempio, è possibile acquistare dei fusilli siciliani pronti al pasto che, però, non hanno la forma dei fusilli o acquistare la pasta al pollo e funghi. In America Latina, sempre attraverso Internet, vengono offerti diversi prodotti sotto il nome della marca “ItalPasta”. Anche negli USA, tramite il web, si possono comprare pasta, tortellini e ravioli.
Di fatto, il tema della sicurezza e dei falsi alimentari è tutt’altro che nuovo per l’Accademia Italiana della Cucina che, sotto diversi aspetti ed angolazioni, lo aveva già esaminato sotto il profilo della difesa dei prodotti alimentari e soprattutto delle cucine tradizionali e tipiche. Il Centro Studi “Franco Marenghi” dell’Accademia ha dedicato la sua attenzione al fenomeno dei falsi alimentari, che non ha soltanto un’ovvia importanza economica, ma è soprattutto un grave attentato alla cultura alimentare, di cui l’Accademia Italiana della Cucina è tenace custode.
Possiamo evidenziare alcune forme di falsificazione o riconoscimenti del “falso”, ad esempio: la falsificazione dell’identità merceologica del prodotto, che si basa essenzialmente sull’utilizzo di materie prime, semilavorati, di valore qualitativo ed economico inferiore rispetto ai prodotti autentici, ai quali viene attribuita un’origine ed identità non posseduta e sul ricorso a processi produttivi improntati al contenimento dei costi di produzione e all’elusione delle norme in materia, con un prodotto qualitativamente inferiore a quello dichiarato; la falsificazione dell’identità aziendale del prodotto, le cui caratteristiche esteriori – packaging, design, marchio, etichetta, ecc. – sono tali da ricondurne la fabbricazione, anche sotto il profilo giuridico, ad un produttore diverso da quello reale; la falsificazione dell’origine geografica di un prodotto, cioè della provenienza delle materie prime utilizzate o della localizzazione del processo produttivo.
L’imitazione di determinati tratti distintivi o caratteristiche del prodotto in modo da evocare un’identità aziendale o geografica differente da quella reale (utilizzo improprio di parole, colori, nomi, riferimenti geografici, immagini, aspetti fisionomici). Con riferimento ai prodotti agroalimentari italiani tale pratica viene solitamente indicata come “imitazione Italian sounding” che consiste nella produzione e distribuzione di beni che, con nomi, colori, immagini e simboli richiamano l’italianità dei prodotti. L’accezione “Italian sounding” si ritrova nello studio: “Originale Italiano-Promozione e tutela dell’agroalimentare di qualità”, a cura di Nomisma, con la definizione: “si tratta di tutti quei prodotti alimentari che fanno in qualche modo riferimento al nostro paese e che, pertanto, all’occhio del consumatore “suonano” italiani”. La categoria “Italian sounding” è composta da Prodotti Italiani Autentici e Prodotti Italiani Imitativi, risultato delle pratiche di imitazione “Italian sounding”. L’“agropirateria” si riferisce sia a pratiche di falsificazione, veri e propri casi di contraffazione e pirateria, sia a quelle di imitazione: nel primo caso si è in presenza di tutte le azioni fraudolente che violano i diritti di proprietà intellettuale, e/o industriale (marchi d’impresa, marchi commerciali, segni distintivi, brevetti di invenzione, disegni e modelli industriali, indicazioni geografiche e denominazioni di origine, ecc.) ed i relativi diritti di sfruttamento commerciale; in ciò, l’attività di “agropirateria” si sostanzia nell’appropriazione indebita e riproduzione di una particolare caratteristica di un prodotto autentico, con finalità esplicita dell’inganno del consumatore.
L’origine e la provenienza dei prodotti sono infatti naturalmente collegate alla qualità dei prodotti, risulta pertanto più “appetibile” abbinare indebitamente l’etichetta “italiana” a merci di origine/provenienza diversa, stante l’insito valore riconosciuto alle filiere produttive nazionali.
L’ “imitazione Italian sounding” non infrange la normativa americana di tutela delle Indicazioni Geografiche e della Proprietà Intellettuale. La legislazione statunitense identifica i prodotti che imitano pedissequamente certe caratteristiche di un altro prodotto, della sua etichetta, della confezione, o persino il logo originale, con l’accezione “look-likes”, o “look-alike”, considerando illegittimi solo i “look-alike” che violano diritti di proprietà intellettuale, industriale, o marchi, e quelli tali da ingannare i consumatori. Con ciò esentando da perseguibilità giudiziaria i prodotti cosiddetti “knock-off”, “look-alike” al limite del lecito, che non essendo imitazioni confusorie a tutti gli effetti, non ingannano i consumatori, non costituendo concorrenza sleale, poiché, collocandosi in una gamma inferiore di prezzo, soddisfano quel segmento di domanda non coperta dagli originali.
Neanche l’imitazione del marchio risulta facilmente perseguibile: la legislazione americana consente la tutela del “trade dress” del prodotto quale logo, forma, packaging, solamente se fattore distintivo che segnala il collegamento tra prodotto ed una determinata origine, qualora l’imitazione ingeneri nel consumatore la convinzione che si tratti dell’originale. Le condizioni poste all’uso esclusivo di un marchio limitano le possibilità di protezione dalle imitazioni. La richiesta di riconoscimento e tutela delle Denominazioni ed Indicazioni Geografiche europee è stata respinta dagli Stati Uniti, che ritengono il sistema di protezione europeo discriminante per i prodotti alimentari, non confacente con la tutela dei diritti di Proprietà Intellettuale.
Ciò nonostante, vi sono esiti positivi di protezione. Così, il Consorzio del Parmigiano Reggiano, con un procedimento intrapreso nel 1999, presso la Corte di Giustizia di New York, è riuscito ad impedire alla Renzi&Sons Inc, importante produttore caseario americano, di vendere un grattugiato generico con la denominazione “Parmigiano”.
Nei mercati europei, al contrario, la difficoltà di protezione è attenuata, con la tutela garantita alle Indicazioni Geografiche, intese sia come nome geografico, quanto menzione tradizionale del prodotto; L’argomentazione fornita dal US Patent and Trademark Office in merito è la seguente: “if a geographic sign is used in such a way as to identify the source of the goods/services and over time, consumers start to recognize it as identifying a particular company or manufacturer or group of producers, the geographic sign no longer describes only where the goods/services come from, it also describes the “source” of the goods/services. At that point, the sign has “secondary meaning”, or “acquired distinctiveness”. The primary meaning to consumers is the geographic place; the secondary meaning to consumers is the producing or manufacturing source. If a descriptive sign has “secondary meaning” to con- sumers, the sign has a source-identifying capacity and is protectable as a trademark”.
In Italia il 92% delle imprese sono di dimensioni piccole e medie e per questo motivo l’espansione del commercio verso il più appetibile fra i mercati esteri rappresenta una grande opportunità per queste aziende. Nell’ultimo ventennio in modo particolare il Continente Asiatico, con in testa la Cina, rappresenta un mercato fertile per i prodotti italiani ma allo stesso tempo un limite a causa della “contraffazione”. Secondo fonti della Coldiretti: i prodotti italiani più imitati nel mondo sono i formaggi (parmigiano Reggiano, grana Padano, pecorino Romano, Asiago), salumi come il prosciutto di Parma e il prosciutto San Daniele e una miriade di prestigiosi oli extravergine. Il dato impressionante è che in una Nazione come gli Stati Uniti solo un 10% dei prodotti venduti come “Made in Italy” è davvero Italiano […] In realtà, “il falso Made in Italy” colpisce una molteplicità di prodotti, che vanno dalla moda al comparto agroalimentare, la maggior parte di questi prodotti vengono falsificati nei paesi emergenti o addirittura nei paesi ricchi come gli Stati Uniti dove viene fatto un uso improprio dell’“Italian Sounding”.
Questa particolare problematica, come osservato dalla rivista Gamberorosso, ha causato dei danni economici rilevanti che superano: i 100 miliardi di euro in valore, più del doppio del fatturato dell’export di prodotti autentici. Questo determina anche una crisi occupazionale nel settore che secondo le stime di Filiera Italia ammonta a 300mila posti di lavoro in meno.
Il “falso” ha ormai raggiunto livelli d’importanza elevati producendo conseguenze rilevanti anche per il comparto agroalimentare e penalizzando sensibilmente la propensione all’export dell’Italia. Ma le limitazioni dell’accesso ai mercati, con relativa perdita di spazio del prodotto autentico a vantaggio dell’imitato, non sono gli unici effetti considerato che spesso a tali imitazioni si accompagnano strategie di prezzo aggressive verso il basso che spingono il consumatore a scegliere il prodotto contraffatto. Inoltre, l’immagine di scarsa qualità che ne deriva certo non aiuta l’immagine del comparto nel suo complesso e inoltre il consumatore potrebbe avere timore e puntare su prodotti che italiani neanche appaiono. È opportuno ricercare nell’evoluzione tecnologica e nel cambiamento dei costumi sociali una chiave di volta per fare in modo che il “Made in Italy” resti un brand esclusivo della cultura mondiale.
Grafica Alain Guariglia