LA DIPLOMAZIA, DA SEMPRE AMMORTIZZATORE ISTITUZIONALE DI CONTROVERSIE E TALVOLTA FAUTRICE DI RICONOSCIMENTI TRA NAZIONI, ATTUALMENTE STA GIOCANDO UN RUOLO DIFFICILMENTE DEFINIBILE

LA DIPLOMAZIA, DA SEMPRE AMMORTIZZATORE ISTITUZIONALE DI CONTROVERSIE E TALVOLTA FAUTRICE DI RICONOSCIMENTI TRA NAZIONI, ATTUALMENTE STA GIOCANDO UN RUOLO DIFFICILMENTE DEFINIBILE
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UNO SGUARDO DA PONTE

di Domenico Ocone

Tra i tanti impegni dei vari organi dello stato, alcuni stanno richiedendo attualmente e a ragione priorità assoluta: sono quelli diplomatici. È possibile riscontrare la validità di tale assunto attraverso i mezzi dell’informazione e con esso l’articolazione delle operazioni in corso e di quelle già compiute. Per esse devono intendersi tanto quelle portate a termine con successo, quanto i flop di altrettante o poco meno rimaste tra le missioni impossibili. Alcune di esse colate a picco ancora prima di prendere il largo. Tanto vale sia per le attività all’interno dei confini geopolitici, che per quelle che interagiscono, di routine e straordinarie, con il resto del mondo. Quella stessa che, nell’ultimo periodo, ha dato prove di ammirevole efficienza, basti pensare al comportamento dell’Ambasciatore Zazo, operativo a Kyiv quando il Cremlino annunciò l’inizio dell’operazione militare speciale, rivelatasi subito una vera e propria guerra di conquista. All’inizio dell’invasione, in controtendenza rispetto ai suoi omologhi di altri paesi, preferì non ritornare in Italia. Fece in modo inoltre che si mettessero in sicurezza all’ interno dell’ambasciata un buon numero di persone, molti connazionali tra di loro. Tra i tanti riconoscimenti ottenuti c’è anche quello della cittadinanza onoraria concessagli dalla municipalità di Benevento, cittá di origine sua e della famiglia. L’altra faccia della medaglia diplomatica reca i segni delle operazioni delle feluche tricolori che non hanno avuto lo stesso epilogo. L’ultima in ordine temporale si è concretata mercoledì appena trascorso. Il numero uno dei rappresentanti del Paese oltreconfine, il Ministro degli Affari Esteri Tajani, ha convocato nel suo gabinetto (absit injuria verbis…) l’ambasciatore iraniano a Roma. Lo stesso si è rivolto a quest’ ultimo senza sorrisi, seppur di convenienza, e con i denti stretti. Ben altro atteggiamento quindi di quello dei diplomatici delle operette che si scambiano le dichiarazioni di guerra dei paesi che rappresentano nel corso di feste da ballo. Il Ministro Tajani ha espresso al rappresentante di Teheran a Roma tutto il disappunto per quanto sta accadendo in quella città e anche dappertutto in Iran, dove si arriva ormai a perdere la vita per un ciuffo di capelli ribelle anche se quella vittima scapigliata ha poco più di dieci anni. Il titolare della Farnesina ha quindi invitato quel legato a riferire al suo governo e a chi siede su quello che un tempo fu il trono del Pavone, la ferma condanna del governo italiano di quanto sta accadendo nel suo paese. Lo stesso ha ricevuto inoltre l’invito perentorio da rappresentare ai governanti che rappresenta, per quanto esso possa incidere, a fermare subito le attività di repressione. Le stesse che da tempo hanno assunto tutte le caratteristiche di una mattanza, oramai volutamente fuori del controllo delle autorità. Quel rappresentante degli Ayatollah non ha nemmeno inarcato un sopracciglio, confermando così che riteneva che gli spettasse lo stesso trattamento di cui godevano i suoi antesignani fin dall’antichità. È quello che vuole che ambasciator non porti pena e che, nell’ambito dei suoi poteri, si adoperi fattivamente con il suo interlocutore ospitante per smussare gli angoli delle situazioni che sono arrivate a scontrarsi. È successo già qualcosa di analogo al caso del diplomatico iraniano con il suo collega di Mosca a Roma. Questi è arrivato immediatamente allo scontro con le autorità nazionali e ne ha dato parte dal vivo all’ informazione. Ha ottenuto così il risultato di suscitare forte disappunto nell’ opinione pubblica, peraltro espresso senza violenza. Il diritto internazionale insegna che, tra due stati i cui governi si riconoscono a vicenda, si stabilisca un pati, cioè la reciproca sopportazione delle proprie rappresentanze diplomatiche. Sopportazione perché all’interno del perimetro delle loro sedi vigono le leggi del paese rappresentato, quindi è facile immaginare quanto possa verificarsi al loro interno. C’è una anomalia nelle due situazioni appena citate. Quando tra due paesi i contrasti arrivano a livelli che oltrepassano le normali dispute, quello dei due che ritiene di essere nel giusto richiama in patria il proprio rappresentante “per consultazioni”, questa la dizione usata nelle motivazioni. È quello un atto talvolta propedeutico a provvedimenti più drastici, che possono evolvere fino all’ interruzione dei rapporti diplomatici tra i due paesi. È accaduto in autunno che l’Eliseo abbia richiamato a Parigi il proprio ambasciatore a Roma per la questione dell’accoglienza di quanti sbarcano senza la necessaria autorizzazione sui litorali della penisola. Per quanto possa essere importante quella querelle, non è paragonabile certo alla gravità dei comportamenti di Mosca e di Teheran. Eppure i rappresentanti in Italia di entrambe quei paesi sono ancora al loro posto e che, piace crederlo, tale stato di fatto sia un indicatore fausto. Al momento non c’è niente di più che voler per forza guardare sotto una fioca luce di ottimismo tali situazioni. Ritornando a quel mattatoio che è diventato l’Iran, vale la pena ricordare che sia la Francia che l’Italia erano per essa, fino agli anni ‘70, interlocutori privilegiati. Certo I tempi erano diversi e tanto vale nel bene e nel male, e la situazione dall’arrivo al governo degli Ayatollah che hanno rovesciato completamente l’impostazione sociale di quel paese non era neppure ipotizzabile. La Persia è stata probabilmente l’impero più grande del pianeta e fu trasformata in poco tempo dai sedicenti guardiani della rivoluzione in una specie di enclave teocratica. Anche che al suo interno il tempo sarebbe scorso all’ indietro era qualcosa neppure immaginabile. Che aggiungere? Quando i lumi della ragione si trovano a essere drasticamente oscurati per motivi irrazionali, non c’è attività diplomatica che tenga. In un tempo non molto lontano ci sarebbe scappata la decisione di intervenire manu militari presa dalla potenza probabilmente ancora oggi egemone, gli USA. Anche in tal caso il risultato non sarebbe scontato. Ne è prova una storia ancora presente nella memoria dei più. Si tratta della guerra in Viet Nam e, prima ancora, quella in Corea. Le conclusioni, per quanto tristi, che si possono trarre sono in sintesi quelle che seguono. La pace assoluta, cioè planetaria, nel corso dei secoli non è stata mai raggiunta. Con l’augurio che questo traguardo sarà raggiunto quanto prima, si deve ancora una volta prendere atto che le guerre, andando fino in fondo con le osservazioni, vengono scatenate da due motivazioni che tra loro si rafforzano: brama di potere e cupidigia di denaro. Sono due motori talmente potenti che hanno portato il problema in oggetto dalla notte dei tempi fino a ora potenziato se si può. Come finirà? Ai posteri l’ardua sentenza. Ammesso che sarà data la possibilità di emetterla.

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DOMENICO OCONE

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